venerdì 28 maggio 2010

Istat: Giovani, due milioni a rischio esclusione NEET

Istat: Giovani, due milioni a rischio esclusione

L'Italia ha il più alto numero di giovani in Europa che non lavorano e non
studiano. Si chiamano Neet (Non in education, employment or training) e
nel nostro paese sono oltre 2 milioni. Hanno un'età fra i 15 e 29 anni (il
21,2% di questa fascia di età), sono soprattutto maschi e rischiano
l'esclusione. Lo denuncia oggi (26 maggio) l'Istat. Questi giovani sono
coinvolti nell'area dell'inattività (65,8%). Il numero dei Neet è molto
cresciuto nel 2009, a causa della crisi economica: 126mila in più,
concentrati al Nord (+85mila) e al Centro (+27mila). La maggioranza si
trova nel Mezzogiorno, oltre un milioni. Ci sono anche laureati (21% della
classe di età) e diplomati (20,2%). E' un fenomeno in crescita, per l'Ocse
nel 2007 l'Italia già registrava il 10,2% di Neet contro il 5,8% della Ue.

I Neet sono ragazzi che perdono il lavoro: quanto più dura questo stato di
inattività, spiega l'Istituto, tanto più hanno difficoltà a rientrare nel
mondo del lavoro. Tra il primo trimestre del 2008 e lo stesso periodo del
2009 la probabilità di rimanere in questa condizione è stata del 73,3%
(l'anno precedente era il 68,6%), con valori più elevati per i maschi al
Nord. Cresce anche il flusso in entrata di questa condizione degli
studenti non occupati (dal 19,9% al 21,4%), mentre scende quello delle
uscite verso l'occupazione.

Università: Meno lavoro per i laureati

Dal 2001 all’anno scorso sono quadruplicati i laureati in corso, ma sono
cresciute anche le difficoltà nel trovare occupazione. È quanto emerge
dall'ultimo rapporto di Almalaurea presentato oggi (26 maggio) nella sede
della Crui. L'indagine mostra come si sia aggravata la condizione di tutti
i laureati: per quelli pre-riforma negli anni '99-2006 a tre anni dalla
laurea, il tasso di occupazione è sceso di 8,6 punti percentuali (da 85,9
al 77,3); a cinque anni, invece, il tasso di occupazione si è ridotto di
3,8 punti percentuali (da 90,5 a 86,7).

Per il direttore del consorzio Almalaurea, Andrea Cammelli, la riforma del
3+2 è stata comunque positiva. Ci si laurea di più e prima, sconfinando
meno nel 'fuoricorso', seguendo con piu' assiduità le lezioni e dedicando
più spazio agli stage. “Mi pare che i risultati raggiunti, al di là delle
tante cose di cui l'università si deve emendare, delle difficoltà senza
finanziamenti adeguati e con continue riforme, siano complessivamente
assai più confortanti di quanto non vadano ripetendo i tanti cultori del
flop della riforma”.

Una preoccupazione, invece, “dovrebbe essere tenuta ben più presente: che
questi giovani, anche i più preparati, rischiano di restare intrappolati
fra un sistema produttivo che non assume e un mondo della ricerca carente
di mezzi”, ha osservato Cammelli, secondo il quale l'impegno di tanti
docenti e ricercatori “non sarà sufficiente a garantire la ripresa e un
futuro di sviluppo se il paese continuerà a non considerare gli
investimenti in formazione superiore e ricerca come investimenti
prioritari e strategici”.

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