lunedì 9 novembre 2009

L'Italia è un paese per vecchi?

"Appello per un reale rinnovamento generazionale"
di Alessandro Genovesi
segretario nazionale Slc Cgil

L’Italia è un Paese malato perché è un paese vecchio. La classe dirigente politica, imprenditoriale e sindacale ha abbondantemente superato i 50 e i 60 anni ed è figlia - nella stragrande maggioranza dei casi - delle consorterie, delle burocrazie, delle reti familistiche. In Italia tutto si muove secondo il principio della coptazione basata sulla fedeltà al capo di turno e non sul merito, le differenze, le conoscenze, le intelligenze, la voglia di innovare e progettare il futuro. Di questo male oscuro soffriamo tutti, CGIL compresa.

Siamo tutti presi dalla retorica dei “giovani e del rinnovamento”; scriviamo pagine piene di buone intenzioni, ma poi – scendendo per i rami dell’organizzazione, nelle Camere del Lavoro e nelle Federazioni provinciali di categoria - siamo poco impegnati, nel concreto, a sburocratizzare, a rinnovare segreterie e gruppi dirigenti, ad imporre un reale ricambio generazionale. Se mai la Conferenza di organizzazione aveva dato un impulso, questo non è mai stato messo in pratica: pochi sparuti casi di rinnovamento non sono diventati la regola, ma solo un’eccezione. Le scelte approvate nel documento e contenute nelle delibere sono state volutamente disattese e l’attuale gruppo dirigente della CGIL non è apparso essere in grado di fare alcunché affinché ciò non accadesse. Non vi è stata nessuna scelta politica chiara dell’organizzazione nazionale nel chiedere impegni precisi alle strutture rispetto a quanto deciso. Abbiamo lasciato sulla carta scelte che potevano dare un impulso vero e forte all’avvicinamento di giovani alla nostra organizzazione a tutti i livelli. Se per gli altri contenuti della conferenza abbiamo preteso dalle strutture un comportamento che rispettasse quanto assunto, lo stesso non abbiamo fatto sui giovani.

E’ opportuno fare scelte chiare che riguardano anche le piattaforme contrattuali e gli accordi che firmiamo. Non possiamo non dirci che anche su questo, nella maggior parte delle ultime vertenze e rinnovi contrattuali, abbiamo dato l’idea di non interessarci dei giovani e soprattutto dei precari. Stesso ragionamento possiamo farlo sulle politiche messe in campo sul tema previdenziale e sul welfare state nel suo complesso. Con troppa leggerezza infatti si è messa in campo una politica che inevitabilmente metterà a rischio le pensioni delle nuove generazioni. Troppo poco si fa per allargare un sistema di tutele volto all’inclusione dei soggetti più deboli e all’estensione di diritti di cittadinanza quali ad esempio il diritto all’abitare e alla assistenza per le giovani famiglie.
Prendiamone atto tutti insieme e comportiamoci di conseguenza. Partendo da noi: praticando quanto predichiamo.

L’età media dei gruppi dirigenti della CGIL è abbondantemente sopra i 50 anni; in molte strutture confederali e di categoria la regola degli 8 anni ha prodotto solo una costante moltiplicazione di incarichi o la rotazione tra strutture diverse delle stesse compagne e compagni; negli organismi direttivi, nelle segreterie nazionali e in quelle delle grandi realtà metropolitane il quadro è desolante.

Le difficoltà di questa fase, per la CGIL, i rischi di isolamento sono allora anche figli delle difficoltà generazionali, dell’incapacità di sbloccare l’organizzazione, di aprire un dibattito che impedisca che il prossimo congresso si riduca alla mera conta tutta interna ad una generazione.

Il congresso non è ancora iniziato e già si vedono prevalere modelli organizzativi, linguaggi e logiche vecchie e obsolete; soprattutto rischia di prevalere una dinamica che terrà ancora bloccata la nostra organizzazione nel suo rinnovamento generazionale. Come una Chiesa millenaria, di fronte alle profonde novità emerse dalla crisi produttiva, sociale e culturale degli ultimi anni, il rischio più grande che abbiamo di fronte è infatti la tentazione di richiuderci in vecchi riti, di serrare le fila, di auto assolverci.

Eppure una nuova generazione sta emergendo dai luoghi di lavoro, con un bagaglio di conoscenza, di voglia di sperimentare e di mettersi in gioco enorme: una generazione che facciamo fatica ad intercettare. E anche quando ciò avviene (penso all’esperienza personale fatta nei call center), producendo anche ottimi delegati e delegate, generosi e coraggiosi, non siamo poi in grado di offrire loro percorsi ed esperienze dentro l’organizzazione che siano positivi, che ne riconoscano valore ed originalità. Ragazze e ragazzi che già oggi, in moltissimi casi, risulterebbero più preparati e più capaci di tanti segretari e di tanti “dirigenti”.
Per queste ragioni ritengo non sia più il tempo solo dei “buoni propositi”, per queste ragioni ritengo che il prossimo congresso debba operare un “rinnovamento forzato” della nostra organizzazione, con strumenti chiari ed esigibili, con vincoli concreti e senza “scappatoie”.

In particolare propongo ai firmatari della mozione/mozioni un “lodo rinnovamento” che obblighi tutti i livelli dell’organizzazione a:

1) destinare in termini strutturali almeno il 5% delle risorse, a tutti i livelli della CGIL e delle categorie, alla promozione di quadri under 35. Sto parlando di ore di permesso, distacchi (totali o parziali), rimborsi, formazione mirata. Un 5% del bilancio da spendere, che va reso pubblico fino all’ultimo euro sui siti dell’organizzazione e che va certificato dalle istanze di controllo superiori;
2) definire in modo chiaro ed ineludibile nei regolamenti la scelta di destinare, in termini straordinari per i prossimi 2-3 anni, le risorse dei fondi di reinsediamento (qualche milione di euro) esclusivamente a progetti che mettano in capo a giovani quadri il rilancio della specifica struttura o presenza sindacale;
3) darsi il vincolo all’interno dello Statuto delle quote “verdi” del 20% per tutti i comitati direttivi a tutti i livelli dell’organizzazione;
4) darsi il vincolo statutario di inserire in ogni segreteria di struttura (che abbia una percentuale di iscritti giovani pari o superiore al 5%), a qualsiasi livello, almeno un componente under 35.

Personalmente voterò – e se qualche compagna o compagno dovessero chiedermi un parere – inviterò a votare per chi si riconosce in queste critiche e sosterrà questi punti programmatici. Basta con le parole e con i buoni propositi, servono scelte chiare e proposte che divengano vincoli positivi.

Ps: per chi volesse sostenere questa proposta può scrivere a: rinnovamentocgil@libero.it

9 commenti:

  1. SPI incontra i giovani per un nuovo forte patto tra generazioni.

    Epifani, “bisogna superare la frattura generazionale”.Cantone, si può marciare insieme “per una battaglia comune e per avere un Paese diverso”

    18/11/2009 . Sito della CGIL Nazionale

    Un nuovo forte patto tra generazioni che metta insieme giovani, adulti e anziani. Questo il senso dell’iniziativa “Verso il Congresso - Il Sindacato Pensionati e i giovani - All’incrocio tra le generazioni” promossa oggi dal Sindacato dei Pensionati della CGIL e che si colloca all’interno del percorso congressuale della categoria. Un momento che ha visto insieme tanti, tra giovani e anziani, alla comune ricerca e riconferma delle “ragioni dello stare insieme” e “per riconfermare i valore di un sindacato di programma come lo è la CGIL”, ha sottolineato la segretaria generale dello SPI, Carla Cantone, nel suo intervento d’apertura.

    Anche per il segretario generale della CGIL, Guglielmo Epifani, intervenuto stamane, c’è bisogno di superare la frattura generazionale tra i pensionati e i giovani. Tema che sarà per altro centrale al sedicesimo congresso che la Confederazione celebrerà nei primi giorni di maggio. Epifani ha rilevato come la frattura tra generazioni riguardi diversi aspetti: “Il Welfare, il sistema previdenziale, richiederebbe di aprire un confronto con il governo”. Per il leader sindacale, infatti, “non basta dire che non si alza l’età pensionabile se poi, da gennaio, i coefficienti penalizzeranno le pensioni e i giovani”. Ma sono tanti e rilevanti i temi che incidono sulla ‘frattura’, come ad esempio l’accesso al lavoro, alla formazione e il diritto allo studio.

    Anche per la numero uno dello SPI “è importante bloccare il continuo scontro che c’è tra generazioni”. La convinzione della dirigente sindacale è che pensionati e giovani possano marciare insieme per una “battaglia comune e per avere un Paese diverso”. Un Paese, cioè, ha aggiunto Cantone, “che garantisca il diritto allo studio, l’uguaglianza, diritti, e una diversa democrazia. Perché si abbia un Welfare sostenibile dove non ci sia una separazione tra le giuste richieste degli anziani, che pretendono di avere una pensione adeguata, e quelle dei giovani di non avere un lavoro precario”. I giovani, così come stabilì la Conferenza d’Organizzazione, “sono un bene prezioso - ha concluso la segretaria generale dello SPI e, al tempo, responsabile d’organizzazione per la CGIL Nazionale - perché rappresentano il futuro stesso della CGIL”.

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  2. “Il 2009 è stato un anno molto fecondo di iniziative dirette ai giovani in coerenza con le decisioni assunte in sede di attuazione della V Conferenza di organizzazione”

    di Enrico Panini*

    Un Congresso giovane. È stata recentemente approvata, nel Regolamento congressuale, la proposta della segreteria nazionale di prevedere per i delegati una percentuale destinata a garantire una forte presenza di giovani ai Congressi; la composizione delle liste per l’elezione dovrà rispettare questo vincolo. Inoltre, le liste per l’elezione degli organismi dirigenti dovranno essere composte in coerenza con questo obiettivo.

    Progetto 20000. Si tratta del più consistente progetto formativo mai messo in campo dalla Cgil. È destinato a giovani delegate e delegati, i temi sui quali si è incentrato il primo modulo sono quelli della Costituzione e del lavoro. Stiamo parlando di centinaia e centinaia di corsi gestiti in tutto il paese, conclusi spesso da iniziative pubbliche di bilancio e di festa con la consegna degli attestati finali. Ad oggi sono già entrati in formazione oltre 16mila giovani.

    Progetti di reinsediamento dedicati ai giovani. Il Comitato direttivo ha deliberato che l’uso del Fondo di reinsediamento (si tratta di risorse annualmente messe a disposizione delle strutture) fosse prioritariamente destinato ad alcuni temi specifici, in particolare i giovani. Nel 2009 sono stati finanziati 19 progetti dedicati ai giovani per un totale di quasi 300mila euro investiti: più di 1/3 dell’importo complessivo destinato al reinsediamento.

    Più risorse al territorio per rinnovare il sindacato e investire sui giovani. Nel 2009 iniziano a trovare attuazione la maggior parte delle intese fra la confederazione, le categorie nazionali e le Cgil regionali per quanto riguarda il trasferimento di quote destinate alla canalizzazione ai livelli territoriali. Stiamo parlando di un processo che porterà a destinare ai livelli territoriali fra gli otto ed i nove milioni di euro su base annua. Queste risorse serviranno fra l’altro a favorire un forte processo di sindacalizzazione fra i giovani.

    Rilevazione presenze e banche dati. A primavera 2009 è stato avviato il censimento della presenza dei giovani fra gli iscritti e nel gruppo dirigente. La prima rilevazione è stata realizzata con comunicazioni da parte delle strutture o, per le situazioni che l’avevano già assunto, mediante l’applicativo informatico “Omnibus”. La seconda rilevazione è stata compiuta sulla base di un questionario inviato alle strutture sindacali. Si registra un buon livello di iscritti con meno di 35 anni, mentre in diverse segreterie hanno iniziato a entrare giovani dirigenti così come nei direttivi. Non infrequenti i casi di segretari generali con meno di 35 anni. C’è ancora molto da fare ma si registra un impegno crescente.

    Progetto “CGIL Wi-FI”. Uno dei limiti maggiori per tanti giovani consiste nel non poter accedere a internet gratuitamente; in alcune zone del paese, poi, i collegamenti sono fermi alla “preistoria informatica”. Questo fenomeno è stato chiamato in modo molto esplicito: “apartheid digitale”. Con il progetto “Wi-Fi” la Cgil sta mettendo a disposizione collegamenti gratuiti presso le proprie sedi e attorno ad esse per combattere concretamente questa ingiustizia. Inoltre, vista la forte sensibilità fra migliaia di giovani su questi temi, abbiamo iniziato il passaggio dall’uso del software proprietario all’open source in coerenza con ciò che sosteniamo in materia di “beni comuni”.

    * segretario confederale Cgil

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  3. Parla la segretaria confederale Vera Lamonica: “Il problema è dell’intero paese, non solo nostro”. E se non viene affrontato per tempo “ci porterà a una condizione disperante”. Le priorità per le nuove generazioni: “Lavoro, welfare e conoscenza”
    di Giovanni Rispoli

    Un paese di vecchi. La formula, ripetuta di continuo, corre il rischio di diventare ormai puro esercizio retorico. Loro, i vecchi, sempre lì, a godersi una longevità lavorativa un tempo insperata, i giovani – all’opposto – a imprecare contro un paese che sembra non offrire più alcuna prospettiva. Un esercizio retorico, appunto, mera ginnastica verbale. Anche quando, strappata alla strada, quella formula diventa argomento di polemica nei piani alti della politica, soprattutto se agitata da chi, per vocazione antica, dovrebbe progettare il cambiamento anziché dedicarsi alla conservazione. L’incapacità mostrata dal composito schieramento progressista, durante le sue esperienze di governo, nell’orientare seriamente la propria iniziativa a favore delle giovani generazioni, parla da sola. Del resto, se si fanno carte false per rubare i Mastella all’avversario ogni volta che, in vista di un appuntamento elettorale, si apre il mercato della politica, come pensare, poi, di rompere per davvero reti familistiche e clientelari, mandare in pensione i grandi o piccoli vecchi che le governano, sbloccare insomma il paese per dare spazio, si diceva un tempo, ai “capaci e meritevoli”? E tuttavia, se la questione non diventa centrale, se della sua urgenza non si prende cognizione, l’uscita da una crisi che non durerà all’infinito potrebbe avvenire nel peggiore dei modi.

    La ragione per la quale la Cgil è tornata a interrogarsi sul tema giovani alla fin fine è questa. Certo, un problema di ricambio generazionale, all’interno delle sue strutture, esiste. La conferenza di organizzazione, alla soglia dell’estate 2008, aveva preso delle decisioni in proposito e il segretario confederale Enrico Panini ricorda sopra le buone pratiche avviate nel corso dell’intero 2009; poi, sul fatto e non fatto, è ritornato com’è noto uno dei segretari dell’Slc, Alessandro Genovesi, in un intervento pubblicato da rassegna.it e dal Manifesto, con le nubi che sul dibattito precongressuale si sono subito addensate. Ma ancora una volta, obietta Vera Lamonica, segretaria confederale, con una formula che scontata sicuramente lo è, e però altre e migliori non ce ne sono, il problema non è solo di carattere organizzativo: come sempre accade di fronte alle grandi questioni,“il problema è politico, squisitamente politico”. Parte dunque da qui questa breve chiacchierata su cosa significhi oggi per la Cgil affrontare la questione giovanile, quali i filoni fondamentali del suo impegno in materia.

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  4. ......“Ripeto – attacca la nostra interlocutrice – quello dei giovani non è solo un problema organizzativo, di ricambio dei gruppi dirigenti della Cgil (che pure non è tema da poco, intendiamoci). E tantomeno è un problema della sola Cgil: è un problema del paese; che se non viene affrontato per tempo ci porta a una condizione disperante. Lo sai quanti ragazzi se ne sono andati dal Sud nell’ultimo decennio? Settecentomila. È come se improvvisamente fossimo tornati indietro, agli anni 50 e 60. Siamo di fronte a una grande questione nazionale, non a un appuntamento fra i tanti”. Un questione che però, tornando alle urgenze di Corso d’Italia, necessita di un enorme sforzo soggettivo, assai più grande di quello vissuto dalla confederazione in altre fasi.Tutti i momenti cruciali di passaggio, e anche di ricambio dei gruppi dirigenti, sono legati nella storia della Cgil al venire alla ribalta di un forte protagonismo giovanile. Gli anni che seguirono la Resistenza e la Liberazione; e poi la svolta del ’60, il V Congresso, la contrattazione aziendale e il Natale in piazza degli elettromeccanici milanesi attraversati dalla rivolta di luglio contro il governo Tambroni, con i giovani dalle “magliette a strisce” in prima fila; e ancora il ’68-69, l’autunno caldo, il radicale rinnovamento del sindacato sotto la spinta che veniva dalle lotte di fabbrica dalla nascita dei delegati: oggi tutto questo non c’è, i giovani – a parte le esplosioni di una singola stagione, si pensi all’Onda – appaiono perlopiù rassegnati, ripiegati su stessi, sulle proprie ansie e incertezze.

    “Questa – riprende Lamonica – è la prima generazione che vive un’esclusione dalla cittadinanza. Ed è esclusa dalla cittadinanza perché fuori dal lavoro. Se appare rassegnata, se è così poco incline alla partecipazione, non è solo per le delusioni che vengono dalla politica, o per effetto della predicazione individualistica degli ultimi anni. La ragione è innanzitutto nelle trasformazioni radicali verificatesi nel tessuto produttivo e nel mercato del lavoro. La frammentazione sociale ha inciso sulla soggettività, è diventata elemento costitutivo del modo di pensare se stessi e il proprio rapporto con il mondo”.“Naturalmente in questo molto ha contato – prosegue – l’aver scelto una ‘via bassa’ alla competitività. Se innovazione e conoscenza vengono messi da parte e tutto si gioca sul costo del lavoro, beh, è ovvio che i giovani restano fuori. Oggi abbiamo una gioventù che vanta un patrimonio di conoscenze libertà e all’autonomia, del diritto a costruirsi un progetto di vita, del diritto a pensare il futuro”.

    “E poi, è vero – aggiunge Lamonica passando alle iniziative da mettere in campo da subito –, c’è una grande solitudine tra i giovani, ma c’è anche un forte bisogno di comunità. Dentro questo bisogno i tre filoni a cui prima accennavo, lavoro,welfare e conoscenza, possono diventare il cuore di una domanda collettiva. Il diritto allo studio, gli ammortizzatori sociali, l’accesso al credito, la casa, tutte le esigenze concrete dell’universo giovanile, per la Cgil devono trasformarsi in piattaforme rivendicative, contrattazione da un lato, negoziazione sociale dall’altro”. La bussola che può indicare la via, il punto da cui partire è “quella che noi chiamiamo confederalità, la capacità cioè di tenere insieme istanze e interessi diversi, valorizzando la dimensione territoriale dell’azione collettiva, del fare sindacato, in una prospettiva comune e solidale”. Forse c’è bisogno anche di strumenti e di luoghi, ricordiamo.“Una serie di strumenti li abbiamo individuati – risponde –. Pensiamo soprattutto a una mediamente superiore a quello in possesso delle generazioni precedenti. Uno sviluppo che non premi la qualità, e un lavoro di qualità, non può che creare mortificazione, spegnere ogni entusiasmo”.

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  5. .....“E poi, è vero – aggiunge Lamonica passando alle iniziative da mettere in campo da subito –, c’è una grande solitudine tra i giovani, ma c’è anche un forte bisogno di comunità. Dentro questo bisogno i tre filoni a cui prima accennavo, lavoro,welfare e conoscenza, possono diventare il cuore di una domanda collettiva. Il diritto allo studio, gli ammortizzatori sociali, l’accesso al credito, la casa, tutte le esigenze concrete dell’universo giovanile, per la Cgil devono trasformarsi in piattaforme rivendicative, contrattazione da un lato, negoziazione sociale dall’altro”. La bussola che può indicare la via, il punto da cui partire è “quella che noi chiamiamo confederalità, la capacità cioè di tenere insieme istanze e interessi diversi, valorizzando la dimensione territoriale dell’azione collettiva, del fare sindacato, in una prospettiva comune e solidale”. Forse c’è bisogno anche di strumenti e di luoghi, ricordiamo.“Una serie di strumenti li abbiamo individuati – risponde –. Pensiamo soprattutto a una mediamente superiore a quello in possesso delle generazioni precedenti. Uno sviluppo che non premi la qualità, e un lavoro di qualità, non può che creare mortificazione, spegnere ogni entusiasmo”.

    Mortificazione intellettuale che è anche mortificazione materiale.“Questa è la prima generazione che vive peggio dei padri. Lavoro precario, retribuzioni basse, domani una pensione a cui oggi è meglio non pensare. Negato il presente, negato il futuro. La generazione più preparata ma anche quella trattata peggio: un tradimento”.“È per queste ragioni, ripeto – continua la segretaria confederale –, che il problema noi non lo possiamo affrontare solo in termini organizzativi. Vanno messe in campo soluzioni politiche: obiettivi nuovi per la contrattazione, da un lato, in materia di welfare e conoscenza dall’altro. Obiettivi che, realizzati, consentano di uscire dalla precarietà”.

    Anche qui, a dire il vero, il rischio è ripetere sempre un po’ la stessa formula.“Sì, certo, detto e ridetto. Ma, attenzione, la precarietà è il tema centrale. Dentro una condizione di precarietà la libertà della persona non esiste. La precarietà è la negazione del diritto alla rete, estesa a tutto il paese, che possa coinvolgere i nostri quadri e delegati più giovani, aperta all’esterno, alle associazioni studentesche e alle realtà giovanili. Una rete che utilizzi i canali di comunicazione telematica (un forum permanente nell’intranet della Cgil e una pagina sul portale della confederazione), incontri nazionali periodici, seminari su singole tematiche, l’organizzazione di un meeting estivo con le associazioni studentesche”. Quanto ai luoghi, dall’associazionismo agli studenti “le Camere del lavoro possono offrire spazi concreti, devono diventare vere e proprie ‘piazze della solidarietà’”.

    “Certo – conclude Lamonica – bisogna dare corso a tutte le politiche organizzative che ci consentano di promuovere una nuova generazione di quadri, di delegati, di dirigenti. Sono importanti; però, come ho già detto, non bastano. Insomma, se vuoi sapere come la penso, le quote verdi sono giuste, le condivido pienamente. Ma, sulla base della mia esperienza di donna, di sindacalista che la vicenda delle quote l’ha vissuta, posso dire che aiutano, certo, ma non sono la soluzione. Occorrono le politiche”.

    FINE. SEGRETARIA CONFEDERALE VERA LAMONICA

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  6. Giovani e Cgil, un’agenda che il Congresso può rilanciare

    L’Italia non si autoriforma: una grande organizzazione come la Cgil ha il dovere storico di essere ospitale nei confronti di percorsi credibili di rinnovamento e di cambiamento.

    di Alessandro Coppola – ricercatore all’università. Ha lavorato presso il Dipartimento Mezzogiorno della Cgil Nazionale fra il 2005 ed il 2008.

    Non sono mai stato un astratto cantore delle virtù delle giovani generazioni. Ma ho sempre creduto che un buona misura di dialettica generazionale fosse davvero indispensabile all’evoluzione di una grande organizzazione collettiva, ed al suo adeguarsi alle trasformazioni del contesto e dei soggetti che intende rappresentare. Alla fine del 2007 ho lasciato la Cgil nazionale, dove per due anni ho avuto il privilegio di essere parte di un esperimento che aveva proprio l’obbiettivo di gettare i semi di quella dialettica. Il confronto di questi giorni – e la centralità che i temi del rinnovamento generazionale stanno assumendo nel dibattito congressuale – sono anche l’esito di quegli sforzi. Si trattava proprio di un esperimento: spingere le compagne e i compagni più giovani a sentirsi parte attiva nella costruzione della cultura e della politica dell’organizzazione, liberare alcune convinzioni ‘generazionali’ dal loro statuto di scomodo argomento da retroscena per farne oggetto di dibattito pubblico, riscoprire la passione di discutere fuori dall’ipoteca di posizionamenti e allineamenti più o meno spuri, dare voce all’insofferenza diffusa nei confronti degli anacronismi e alle miopie nel funzionamento quotidiano della Cgil.

    Si trattava prima di tutto di costituire un’arena: diversi documenti, un blog, due seminari nazionali e tanti incontri locali hanno fatto crescere questo esperimento difficile e per questo appassionante, di cui la conferenza d’organizzazione ha poi raccolto parte degli esiti: quelli più traducibili nel linguaggio di statuti e regolamenti.

    Dal dicembre del 2007 il mio impegno si é arrestato e mi scuserete se fra queste righe si evincerà l’ignoranza della cronaca di quanto accaduto negli ultimi due anni. Non tornerò sul quadro nel quale ci muoviamo: la diagnosi é ormai consolidata. Mi basti rilevare come la recessione stia rivelando il volto più atroce di un modello familista che ormai sta divorando se stesso, a partire dai suoi figli. Forse molta coesione sociale a corto raggio ma poca solidarietà nazionale, forse più anticorpi di fronte ai fattori disgreganti liberati dalla modernizzazione ma meno opportunità per gli individui e i gruppi sociali il cui capitale ereditato – in termini di risorse e di relazioni – é piu’ modesto. Il sistema sociale nel suo complesso si scopre sempre meno produttivo – in senso lato - e sempre più concentrato sulla difesa di interessi parziali e nella distribuzione sempre più iniqua di risorse sempre più scarse: le condizioni del nostro sistema formativo e della ricerca costituiscono il riflesso perfetto di questa lunga deriva.

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  7. ....seconda parte:

    Sono sempre stato convinto che se ne dovesse uscire per via politica: affidarsi agli automatismi di una società così frammentata e vischiosa è forse un bel gesto intellettuale - o il comportamento logico di chi é tristemente aggrappato al proprio piccolo potere - ma senz’altro destinato alla sconfitta. L’Italia non si autoriforma: una grande organizzazione come la Cgil ha il dovere storico di essere ospitale nei confronti di percorsi credibili di rinnovamento e di cambiamento, pena la sua ininfluenza futura. Gli ingredienti sono quelli indispensabili in una combinazione irripetibile: una grande organizzazione che si prefigge l’obbiettivo del rinnovamento ed una nuova generazione che, pur faticosamente, ha iniziato a costruire idee e pratiche sindacali proprie. Il potenziale di trasformazione che ne risulta é semplicemente esaltante.
    Per queste ragioni, credo che il protagonismo di tanti giovani compagni e compagne nel confronto fra le due mozioni sia un segno promettente di maturità. Ma penso che ancor più promettente sarebbe la creazione e la preservazione di un luogo dove coltivare i pensieri lunghi di una generazione che ben presto sarà chiamata a responsabilità progressivamente più diffuse e importanti. Il rinnovamento organizzativo – su cui il corpo dirigente della Cgil sembra aver trovato un linguaggio comune – avrà più forza laddove la cultura politica e sindacale delle nuove generazioni sarà più credibile, originale e innovativa. Altrimenti, i pur necessari interventi di riforma organizzativa – di cui si fa bene a rivendicare l’applicazione - non troveranno le idee sulle quali camminare, e a prevalere saranno quelle logiche meramente cooptative e burocratiche che tanto tolgono all’organizzazione in termini di creatività e qualità della sua azione. Riprendere lo spirito di quell’esperimento di due anni fa e farlo rivivere in condizioni mutate sarebbe probabilmente una scelta saggia. E cogliere l’occasione del Congresso per far avanzare serenamente quell’agenda, rendendola più matura, efficace e capace di parlare alle nuove generazioni del nostro paese, darebbe più forza al futuro della Cgil.

    da Rassegna.it

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  8. Moccia: sì al rinnovamento generazionale

    Lettera di Domenico Moccia, segretario generale della Fisac Cgil in risposta alla lettera aperta di Alessandro Genovesi sul rinnovamento generazionale del sindacato

    di Domenico Moccia**Segretario generale Fisac-Cgil, portavoce della mozione congressuale “La Cgil che vogliamo”

    Caro Alessandro,

    abbiamo letto il tuo contributo alla discussione congressuale della Cgil su Il Manifesto del 10 novembre, condividendone pienamente i contenuti. Come sai, alcuni di noi chiesero un impegno forte e netto alla Cgil in occasione della Conferenza di Organizzazione sul fronte delle cosiddette “quote verdi”. Attraverso una discussione complessa ed articolata, riuscimmo a far assumere quella proposta. Fu, però un successo solo apparente. La delibera approvata, come tu stesso hai sostenuto, è rimasta un buon proposito disatteso. L'organizzazione non ha assunto tra le sue priorità la sfida del rinnovamento e del ricambio generazionale, e crediamo che non lo abbia fatto volutamente, lasciando di fatto sospesa quella scommessa sul nostro futuro. Siamo tuttora convinti che su questo campo si giochi la nostra capacità di rappresentare una nuova generazione di lavoratori e di cittadini, ed in generale la nostra capacità di innovare e rinnovarci, di costruire la Cgil che vogliamo.

    Non è sufficiente scrivere la parola giovani sui nostri manifesti e nei nostri documenti, firmando poi contratti, concordiamo con te, che di loro volutamente non si occupano, relegarli in “riserve indiane”, o in organizzazioni di precari. Le quote, pur comprendendo dubbi e perplessità che sollevano, restano il solo strumento possibile per obbligare la Cgil e le sue categorie a dare rappresentanza, e quindi a rappresentare, generazioni diverse dalla nostra, la generazione che attualmente governa l'organizzazione, che vive una difficoltà evidente ad affrontare le sfide di un mondo nuovo, diametralmente diverso da quello in cui ci siamo formati, in cui abbiamo costruito le nostre convinzioni e consolidato le nostre pratiche sindacali. Il termine “obbligare” non è casuale, intendo dire battere le resistenze interne della nostra “gerontocrazia”, come tu dici, inserendo direttamente nello statuto le quote. È per questa ragione che come avrai notato abbiamo deciso di assumere le tue proposte, alcune delle quali erano già patrimonio condiviso all'interno della mozione, perché crediamo che vadano nella direzione giusta, quella dell'apertura dell'organizzazione alle nuove generazioni.

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  9. ....É iniziato il nostro Congresso. Crediamo che questa sia l'occasione per rilanciare il dibattito sul rinnovamento. Ci ripromettiamo di continuare a percorrere la strada tracciata, ed il Congresso sarà un banco di prova importante per aprire l'organizzazione ai giovani, per allargare la nostra base di consenso e attestarci su posizioni sempre più avanzate. Ma andiamo oltre. Crediamo che sia insufficiente, e che sarebbe oltretutto poco lungimirante, investire esclusivamente sul ricambio senza proporre un iniziativa politica di riforma, che influisca sulle condizioni materiali dei giovani, ma non solo dei giovani. Abbattere i paradigmi che ci limitano alla difesa dell'esistente, e quindi intestarci una sfida sul campo dei diritti, della loro estensione in forme nuove, che ponga un limite al dilagare del precariato, alla decontrattualizzazione di fatto di intere generazioni.

    La ritengo una battaglia doverosa. La generazione che ha governato e governa oggi la Cgil è in debito con i giovani. Abbiamo l'obbligo di dare cittadinanza a nuove generazioni di lavoratoti, di giovani delegati e dirigenti. Non dobbiamo diventare giovanilisti, essere giovani non è di per se un valore. Ma i giovani sono meglio di come li rappresentiamo e di come vengono raccontati. Abbiamo la fortuna di conoscerne tanti nei nostri luoghi di lavoro, di vedere che nonostante tutto, i loro occhi sono pieni di speranza come lo erano i nostri alla loro età. Giovani lavoratrici e lavoratori a cui sono stati sottratti i sogni, negati i diritti conquistati dai loro padri. La Cgil deve aprire le porte alle nuove generazioni. Dobbiamo trovare la forza per dar loro gli strumenti per riappropriarsi dei loro sogni e dei loro diritti. Crediamo che i tempi siano maturi per vincerla, questa battaglia.

    Domenico Moccia

    rassegna.it

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